Gli atti coscienti

Il trattamento si esplica per prima cosa con gli « atti coscienti ».

Dobbiamo uscire dalla nostra vita vissuta in modo automatico per entrare in una vita cosciente.
Siamo ipnotizzati da tutto ciò che ci è intorno, siamo vittime dei nostri nervi e non ci sappiamo adattare ai nostri dispiaceri né alle nostre delusioni; anche nelle nostre gioie, ci preoccupiamo di noi stessi, parliamo solo di noi, corriamo di qua e di là per dimenticarci, e ci attacchiamo sempre più alle cose alle quali cerchiamo di sfuggire, come un cane che si morde la coda.

Col tempo e l’esercizio si capirà che l’importante è occuparsi di noi del presente nel quale aver buoni motivi per vivere, esser felici, forti e trovare interesse nella vita.

Il primo passo per comprendere la nostra vita interiore – potrebbe esser contraddittorio affermarlo – è quello di esser coscienti in tutto ciò che facciamo.

Un esempio: apro la finestra in un bel mattino di sole.
Sono assorto nei miei pensieri, concentrato su di me stesso, penso solo a me e ai miei problemi e non mi accorgo che marginalmente del levarsi del sole.
Non ho fatto un atto cosciente.
Sono riverso su di me stesso, non ho oggettivato l’evento.

L’atto cosciente diventa quindi un atto di esteriorizzazione, uno stato sano, felice, normale.
Il soggetto impara a farli diventare un’abitudine.
Devono diventare un riflesso.

Stabilire degli « atti coscienti », è controllare alcuni degli atti compiuti durante il giorno (camminare, alzarsi, aprire una porta, guardare una foto, una nuvola che passa, odorare un fiore).
Il soggetto deve essere completamente presente a quello che sta facendo, « sentire » l’atto e non pensarlo: ciò in quanto l’atto cosciente ha lo scopo di sospendere momentaneamente il pensiero, anche se solo per qualche secondo.
Il cervello deve essere unicamente ricettivo e la sensazione pura occupare tutto il campo della coscienza.
E’ necessario in qualche modo bagnarsi nelle sensazioni, qualunque sia l’origine: suono, colore, odore.

« La ricettività è tutto », diceva il dottor Vittoz.

Dunque con l’aiuto dei primi esercizi, l’educatore rieducherà la ricettività del soggetto, invitandolo a vedere bene il colore, l’oggetto che gli presenta, ad ascoltare bene i suoni che gli pervengono, a provare pienamente le sue sensazioni.

“Guardate! Ascoltate! Toccate!”

La prima volta che lo si prova si raggiunge uno stato di calma e di sicurezza, si riconosce che ci si possiede completamente.
Ma attenzione: non dobbiamo preoccuparci di realizzare l’atto cosciente.
L’atto cosciente forzato, voluto rende dubbiosi e ci affatica.
Esser coscienti, applicarsi all’atto che stiamo facendo è riposante, resistere invece diventa fatica.
Se non siamo in grado di svolgere un atto cosciente è perché siamo concentrati su noi stessi, la nostra vita, concentrata in noi stessi, è più importante di noi.

Val la pena approfondire ancora quanto appena espresso.
Molte persone ci dicono spesso: “Il dimenticarsi di sé stessi è un bel precetto, ne capisco l’utilità e sono degli anni che prego di arrivarci, ma come risultato sono ancor più assorbito da me stesso e conduco un’esistenza sterile e paralizzata? Cosa fare? …”

A questa domanda e a queste persone si può rispondere che il mezzo esiste e che è rappresentato dal Metodo Vittoz: si tratta in sostanza di ristabilire il controllo cerebrale, la padronanza del cosciente sull’incosciente.

Si può assomigliare il tutto a una carrozza trainata da un cavallo. Il cocchiere è il cosciente. Quando il cocchiere si addormenta o si distrae, il cavallo va a destra o sinistra, dove lo porta la sua paura o la sua fantasia, e se il cocchiere non è accorto, potrà finire in un fosso dal quale poi faticherà non poco ad uscire.

Spesso ci si illude che il vagabondaggio cerebrale sia un riposo per la mente, si considera la volontà come uno sforzo e l’inerzia un piacere.
Per capire la portata del fenomeno pensiamo a una forza da applicare su un punto A.
Se la si applica integralmente sul punto A essa darà il massimo effetto.
Al contrario se la si applica contemporaneamente su due punti A e B, la divisione della forza sui due punti A e B ne diminuirà l’azione.
Così anche lo sdoppiamento che avviene nella nostra vita quotidiana che spesso viene considerato come utile e proficuo.

Come diventa difficile lo scrivere una lettera se quando siamo appena all’inizio si lascia la propria mente pensare già alle frasi di chiusura. Ben presto si diventa nervosi, tesi, si perde la concentrazione su quel che si voleva scrivere, finché alla fine, scoraggiati, buttiamo la penna riconoscendoci incapaci di condurre a buon fine l’impresa.

Quante volte torniamo sui nostri passi per verificare se ha chiuso la porta di casa e domandandosi con ansia “l’ho chiusa?” … e questa stesso procedere si ripresenta sotto tante forme che conducono il soggetto ad un continuo domandarsi in una tortura incessante.

Come possiamo realizzare un atto cosciente?

Semplicemente applicando noi stessi in ciò che facciamo.

Se non ci rendiamo conto di ciò che facciamo non realizziamo un atto cosciente.

Non dobbiamo fabbricare degli atti coscienti, ma dobbiamo ricondurre gli atti abituali della nostra vita alla nostra attività cosciente.

Vediamo le caratteristiche dell’atto cosciente:

L’atto controllato deve essere cosciente ossia il paziente deve essere assolutamente presente a ciò che sta facendo, senza distrazioni.

Durante l’atto il suo cervello deve essere totalmente ricettivo: il cervello deve sentire l’atto e non pensarlo.

Occorre ricordare sempre l’affermazione del Dotto Vittoz: “la ricettività è tutto”.

Il paziente deve prendere l’abitudine di veder bene ciò che guarda, di sentir bene ciò che ascolta e di capir bene ciò che sta facendo.
Attraverso la coscienza degli atti impara a vivere nel presente, perde la cattiva abitudine di vivere nel rimpianto del passato o nel timore dell’avvenire.

Aver coscienza di un atto, non è pensarlo, ma sentirlo.

E’ necessario che si arrivi a sentire senza pensare.

Non importa da quale parte arrivi la sensazione, vista, udito, tatto, gusto, … la regola è sempre la stessa indicata.
L’obiettivo è quello di un atto cosciente che dura anche solo un secondo, ma in quel secondo il nostro cervello sta in completo riposo, in assenza di pensiero. Questo realizza il primo passo, un primo controllo, quello della sensazione dell’atto.

Si sente spesso dire trionfalmente: “L’atto cosciente … certamente …. L’ho svolto spesso come mi avete indicato! … Ad esempio quando chiudo la porta, io dico dentro di me ‘ Io chiudo la porta ’ …. E così via….”.

Tutto sbagliato.
Non è necessario, anzi è essenziale non dire nulla.

Bisogna sentire l’atto compiuto, sentirlo col tatto, con la vista, con l’udito, con quella sensazione interna che è il senso muscolare.
Bisogna arrivare, come dire … a bagnarsi di sensazioni, ad esservi penetrati come l’aria entra nei nostri polmoni. E quest’azione ripetuta costantemente anche per pochi secondi porterà dei benefici inimmaginabili. L’importante è eseguire un vero atto cosciente. Poco a poco il paziente modificherà il suo atteggiamento mentale con un lavorio costante e insensibile e poco a poco le idee anormali, le ossessioni, si dissiperanno come neve al sole.

È consigliabile inoltre che all’inizio vi vengano affidati degli atti coscienti molto semplici ed elementari:

  • Posare gli occhi su un oggetto per ben vedere
  • Ascoltare il rumore di un’auto che passa per ben ascoltare
  • Toccare degli oggetti

Successivamente si potrà passare ad atti più complessi come:

  • Alzare la mano sinistra per vedere l’ora sul proprio orologio da polso e ascoltarne il ticchettio: si stimola così l’attenzione al movimento, alla vista e all’udito
  • Aprire una finestra: si stimola e attira l’attenzione al movimento di aprire la finestra, sentire la resistenza che oppongono le ante all’apertura, scostare le tende, sentire il soffio d’aria che ci giunge sul volto, godere della vista che ci si presenta affacciandosi alla finestra, ecc.
  • Passeggiare per la strada: ci viene fornita la sensazione di sincronizzazione dei nostri passi, del movimento del nostro piede, della flessione della caviglia del ginocchio, la sensazione dei nostri muscoli che partecipano all’azione del camminare, la presa di coscienza del nostro piede che si appoggia su un selciato liscio e regolare oppure irregolare, l’ascolto dei rumori delle auto che passano sulla strada vicino a noi, della gente che incrociamo, delle vetrine davanti alle quali passiamo davanti; vengono stimolati quasi tutti i nostri sensi, e tali sensazioni devono penetrarci e dobbiamo cercare di assorbirle, sentirle.

Non è importante che sempre e comunque tutti i sensi siano coinvolti; l’importante è che tutti siano predisposti a ricevere e accettare le sensazioni.
Essenziale è poi la ripetizione quotidiana ed il più frequente possibile, degli atti coscienti.

A questo proposito è importante non dimenticarsi e soprattutto ritenersi scusati “perché non si è avuto tempo o abbastanza tempo per eseguirli”.

Questo è assolutamente non vero.

L’atto cosciente non richiede un tempo supplementare perché lo si può eseguire ed applicare a qualsiasi atto della nostra vita quotidiana.
L’essenziale, come d’altronde lo è tutto il metodo, è il volerlo, ricordarsi di farlo, prender l’abitudine ad eseguirlo il più frequentemente possibile fino a che non diventi parte di noi e della nostra quotidianità.

Occorre ricordarsi sempre che senza il nostro impegno e il nostro lavoro non potremmo ottenere nulla.

Ecco ancora alcuni esempi col modo di procedere:

  • Vista: deve lasciarsi penetrare dalle vibrazioni che provengono dall’oggetto che guarda; si deve avere l’impressione di assorbire l’oggetto che si guarda. Non deve essere una ricerca di dettagli
  • Udito: le stesse osservazioni che per la vista: occorre lasciarsi penetrare dal suono che si ascolta, senza un’attenzione forzata all’ascolto
  • Tatto: la prima sensazione ricevuta sarà quella più cosciente: l’oggetto sarà freddo o caldo, duro o molle, ecc
  • Controllo dei movimenti: ogni movimento deve essere percepito nella sua interezza non eseguito in modo automatico
  • Il camminare: l’impressione deve essere di leggerezza e sicurezza. Si deve partire con la percezione di posare il piede al suolo, di eseguire il movimento con la gamba e quindi col corpo intero, adattando e facendo partecipare attivamente la respirazione, la vista e l’udito

Ripeto ancora una volta che tutto questo potrebbe sembrare troppo semplice e puerile, non dobbiamo stancarci di notarlo e ripeterlo e nello stesso tempo di saperlo accettare serenamente.

Voglio dare un ultimo esempio di atto cosciente.

Chiudete gli occhi.
Riapriteli e gettate un breve sguardo sul primo oggetto che si offre alla vostra vista, per esempio un oggetto qualunque che si trova sullo scaffale di fronte a voi; la visione deve durare una frazione di secondo, senza cercare di analizzare i dettagli dell’oggetto.
Chiudete gli occhi e riapriteli; questa volta il vostro sguardo si fermerà ad esempio su una rosa posta in un vaso; preso il contatto con questo nuovo oggetto, lo abbandonate subito, senza fare nessun sforzo di attenzione, non fermatevi a lungo su di lui, guardatelo con l’occhio di un bambino appena nato.
Rientrati in voi, fate la stessa cosa con qualunque oggetto o immagine: con la tenda della vostra finestra, con un quadro appeso al muro, con una mosca che si è posata sul tavolo, con un raggio di luce che entra dalla finestra; in breve, con tutte le cose.
Mentre camminate per strada, gettate un colpo d’occhio che non sia distratto, che non sia vago … ossia un semplice, ma vero colpo d’occhio, su un lampione, sulla foglia gialla di un albero, sulle tegole rosse di un tetto; fate questo tipo di cose su qualsiasi oggetto, dieci volte, cento volte, mille volte se necessario.
Si tratta di ricevere una sensazione la più pura possibile, senza arrivare alla percezione, in modo da rendere praticamente nullo il pensiero.
Insomma, non si tratta di guardare, si tratta semplicemente di vedere.
Ora, ascoltate per qualche istante il tic-tac della pendola nella vostra stanza; ascoltate il rumore di una porta che si chiude nel vostro appartamento; ascoltate il rumore di un’auto che passa per la strada, ma non guardatela, ascoltate solo il rumore che fa passando. Prestate allo stesso modo ascolto, per un piccolo istante, ai rumori che giungono dalla strada, dalla casa, dappertutto.
Se vi sentite stanchi, è perchè avete voluto ascoltare troppo tempo in una sola volta; prendetevi una pausa!
A forza di ripetere l’esercizio, lo farete senza fatica, ma è essenziale che lo facciate senza sforzo alcuno.
Non vi scoraggiate, non insistete, e passate ad un’altra cosa.
Quando riprenderete gli esercizi, ricordatevi solamente che dovete essere come una lastra fotografica nuova che deve essere ancora impressionata.

Ecco come schematicamente si deve iniziare ad esercitarsi cogli atti coscienti. Il paziente dovrà apprendere allo stesso modo a toccare, a sentire, ad avere una rapida impressione del contatto del proprio braccio sul bracciolo della poltrona, sulla stoffa della poltrona che sta sotto le sue dita senza cercare di riconoscere il tipo di tessuto, sul bottone della propria giacca, sull’odore di sigaretta presente nella stanza o sull’odore di un fiore.

Piano piano si imparerà a vedere, udire, toccare, insomma ad entrare sempre più in contato col reale. 

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